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ACCIAIO LIQUIDO

di

Marco Di Stefano

ideazione, adattamento e regia

di

Lara Franceschetti

​

con Federica Armilis, Angelo Colombo, Andrea Corsi, Paolo Garghentino, Giovanni Longhin, Francesco Meola, Claudio V. Migliavacca, Giuseppe Russo.

 

Scene e costumi di

Maria Chiara Vitali

Light designer

Giuliano Bottacin

Assistente alla regia

Paolo Panizza

video

Massimiliano Gusmini (Mud) - otolab 2012

 

 

“Siedo sulla schiena di un uomo soffocandolo, costringendolo a portarmi. E intanto cerco di convincere me e gli altri che sono pieno di compassione per lui e manifesto il desiderio di migliorare la sua sorte con ogni mezzo possibile. Tranne che scendere dalla sua schiena.”

(L. Tolstoj- Che fare?)

​

“Quattordici vite spezzate. Sette morti, sette ancora vivi, ma segnati per sempre per non avere avuto il coraggio di dire No.

Libertà, Giustizia, Futuro, Identità e Verità, tutti temi imbastiti con un filo sottile e poco resistente. Così si cuce il vestito dell’uomo contemporaneo, fragile, impaurito che vive nonostante tutto, ma incastrato, immobilizzato dalla Paura”

 

Lo spettacolo ha come punto di partenza un fatto realmente accaduto.

Nel dicembre del 2007 in un’acciaieria di Torino, si scatena un incendio in cui perdono la vita sette operai. Una tragedia che tocca nel profondo l’Italia intera, in cui le “Morti Bianche” hanno smesso da tempo di fare notizia. Una disgrazia figlia della ricerca e del profitto ad ogni costo, di una burocrazia ottusa e inutile, di leggi sulla sicurezza spesso ignorate.

Sei dirigenti, con a capo l’amministratore delegato, vengono processati e condannati al massimo della pena. Il gruppo siderurgico offre una cifra da capogiro - mai vista in un processo penale del lavoro - per evitare che le famiglie delle vittime si costituiscano parte civile, e ottenere così, grazie all’accordo, uno sconto di pena. Ma il tentativo della multinazionale di uscire al riparo dall’opinione pubblica fallisce miseramente.

La messinscena, costruita in cinque blocchi, mostra le due facce di ogni soggetto preso in esame, quello ufficiale (l’abito) e quello umano. Gli Operai, i Dirigenti, i Parenti delle vittime, tutti su di una grande giostra in cui il moto continuo svela i diversi volti “Yin-Jang” di ognuno. Chi guarda può percepire che la verità non è un qualcosa di univoco, ma di inafferrabile.

Non si può, non si riesce a trovare una risposta. E la verità si trasforma in dubbio.

 

Parmenide di Elea espose la sua visione poetica dell’universo in un’opera di cui una parte è chiamata “la dottrina della verità” e l’altra “la dottrina dell’opinione”. Dualità che indica una qualche necessità della psiche umana di fornire due versioni sulla natura delle cose. I due modi di concepire l’universo sono il riflesso di due personalità all’interno dell’individuo. E l’essere umano di fronte alla verità ha un dubbio.

 

Il “non rischio” e il “rischio” in tema di sicurezza con i suoi molteplici volti: la cecità volontaria che mette in secondo piano un bene così potente come la vita. Scegliere di vivere mettendo “Lei” al primo posto. Tutto questo senza avere paura, senza che nessuno possa decidere di metterla a repentaglio in nome di un sistema soffocante e al tempo stesso invisibile. Parlare, non accettare, poter scegliere di dire No.

L’uomo contemporaneo non può, non riesce a dire No.

Ci si identifica in ciò che si fa e non in ciò che si è, per questo i manager-operai alla fine – e solo alla fine - di questa messinscena si toglieranno gli abiti da lavoro e rimarranno nudi, per non essere più. Un messaggio forte e sentito chiude questo spettacolo, perché il mondo veda:  per queste vite interrotte non c’è più tempo, per chi guarda sì.

 

Si cuce così l’abito dell’uomo contemporaneo, immobilizzato dalla paura.

Per info:
Chiara Donà +39 340 2768594 (organizzazione) Lara Franceschetti +39 338 8114265 (regia) infoverticale@gmail.com
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